La fase contrattuale culminata nella firma dell’accordo di ristrutturazione del Gruppo BNL e dei protocolli a margine può essere senz’altro considerata come uno dei momenti più importanti della vita aziendale degli ultimi decenni. Ciò non soltanto per la delicatezza del momento e dei temi trattati, legati alla particolare situazione di crisi del settore bancario che non può non riflettersi sulla nostra banca, e anche all’importanza «tecnica» della posta in palio, rappresentata dal tentativo di decostruzione di larga parte del sistema delle tutele aziendali costruite in anni di contrattazione. La trattativa verrà ricordata anche perché è stata la sintesi, più o meno riuscita, delle caratteristiche che stanno assumendo le trattative nel settore bancario tutto ed anche del cambiamento imposto dalle stesse alla dialettica tra aziende ed organizzazioni sindacali. Proviamo a ragionarci sopra andando a cogliere per punti quelle che a noi sembrano essere le principali discontinuità emerse col passato.

Lo scenario di settore

Lo abbiamo accennato nell’introduzione, quello che sembrava un settore destinato a rimanere fermo nella sua fissità organizzativa e gestionale, cresciuto e prosperato all’ombra di una politica che lo ha sempre considerato una sorta di oasi protetta, ormai corre da alcuni anni conoscendo logiche di cambiamento indiscriminato che spianano anni e anni di tranquilla routine. 
Cambia l’atteggiamento datoriale, nelle singole aziende ed a livello di associazioni di categoria, ma cambia soprattutto il clima culturale in cui s’inserisce il cambiamento. Favorita dal dilagare della cultura neo liberale che ha caratterizzato gli ultimi anni, emerge l’idea che il vero freno allo sviluppo del sistema bancario del nostro paese, la vera causa dei ritardi che lo hanno caratterizzato, risieda nella vasta rete di tutele che le associazioni sindacali hanno pazientemente costruito in anni di contrattazioni ma anche di lotte serrate. Da questo assunto nasce il corollario che la crisi del settore, per quanto ovvio spiegabile in ben altro modo, possa essere agevolmente superata agendo sulle sole leve rappresentate dal costo del lavoro, ovviamente riferito alle fasce più basse dell’organizzazione del lavoro.
La novità forte dell’ultimo periodo sta invece nella circostanza che questo atteggiamento, poi declinato da parte datoriale con un aumento progressivo dell’arroganza dei comportamenti, trova una sponda politica ormai radicata nelle dichiarazioni che a livello governativo vengono oramai costantemente ripetute.
Si ricordino a titolo puramente esemplificativo le dichiarazioni di Renzi, allora Presidente del Consiglio in carica, sul numero degli addetti a suo dire esagerato del settore bancario. Quanto questa sponda possa aver aumentato l’aggressività dei nostri interlocutori è facile comprenderlo.
Tutto questo va sottolineato non tanto per mettere le mani avanti sulle difficoltà riscontrate nella trattativa, ma per sottolineare il cambio di passo che questa nuova realtà ha impresso sulle organizzazioni sindacali stesse che troppo spesso hanno avviato la fase di trattativa con un atteggiamento di sostanziale remissione, quasi inconsapevolmente convinte dell’ineluttabilità del cambiamento proposto e della necessità di dover accettare una logica di continuo ridimensionamento del sistema di tutela costruito.
Una sorta di condizione psicologica d’inferiorità che ha rischiato spesso di fuorviare il comportamento da assumere sin troppo orientato alla semplice difesa di una trincea che finiva con l’arretrare ogni giorno di più.

Il ruolo assunto dai sindacati

Un comportamento aggressivo obbliga ad un atteggiamento di ripiego sulle proprie ragioni ma consente anche, in positivo, una nuova focalizzazione sulle ragioni della rappresentanza sindacale, riqualificandone ulteriormente il peso e la qualità nella dinamica contrattuale. Questo mutamento di scenario ha infatti spinto, per certi versi obbligato, le singole organizzazioni a ricercare, in primo luogo, le ragioni di una unità d’intenti, troppo spesso vagheggiata nelle aspirazioni quanto poi puntualmente disattesa nei comportamenti.
La difficoltà del periodo, la necessità di combattere battaglie di retroguardia, puramente difensive, ha finito quindi col produrre l’effetto virtuoso di una forte tendenza all’unità come aveva già in parte dimostrato la vicenda contrattuale legata all’ultimo rinnovo del Ccnl, ma anche nelle singole realtà aziendali, come la stessa nostra vicenda di Bnl ha ricordato.
Superare i postumi delle sbornie ideologiche di qualche decennio fa, superare la logica delle pregiudiziali e dei veti incrociati non ha significato l’annacquamento delle singole identità tuttora e giustamente ancora pienamente coltivate ma ha reso più compatto il fronte dei lavoratori, ha consentito di esercitare una forza contrattuale crescente ed ha prodotto un sistema di relazioni industriali via via meno ispirato a comportamenti di prevaricazione. Se è vero quindi che il conflitto aiuta la crescita, ciò ha quindi prodotto un forte innalzamento della capacità sindacale, sia in termini di contrasto che in termini di proposta.

Il principio (e l’assunzione…) di responsabilità del management

Non era sin qui mai avvenuto, ed in Bnl possiamo pienamente vantarlo come un successo sindacale, che in una fase di trattativa dura, sullo sfondo dello stato di crisi più o meno conclamata di un’azienda, la controparte aziendale aderisse alla richiesta sindacale di una partecipazione non solo simbolica del management ai sacrifici imposti dalla necessità di ristrutturare. Non era mai successo prima che la controparte accettasse, prima ancora che il sacrificio stesso in termini economici, l’idea sottesa alla richiesta che le situazioni di difficoltà e di crisi vera e propria, dovessero radicare una responsabilità, individuata come primaria, dei vertici aziendali. La totale ed assoluta irresponsabilità dei vertici bancari ha rappresentato, infatti, una delle chiavi più importanti per spiegare la fase di crisi delle banche. Politiche gestionali, organizzative, scelte commerciali folli non avevano sinora mai trovato una paternità precisa ed una responsabilità dichiarata. 
Ora nulla potrà più essere come prima nel senso che a scelte poi rivelatesi sbagliate corrisponderanno responsabilità di manager strapagati che forse continueranno a non conoscere altra responsabilità che quella morale, ma come inizio, come affermazione di un principio, può bastare. 
Era da tempo che i lavoratori del settore ma anche larga parte dell’opinione pubblica, colpita dalle scelte scellerate di troppi aspiranti stregoni della finanza, chiedevano di individuare forme di assunzione di responsabilità dei vertici delle banche e questo non può che rappresentare un primo passo verso una condivisione che noi vogliamo sempre più estesa e rappresentativa.

I giovani da svegliare

Spiace dirlo ma questa è la nota dolente, la vera negatività di questa fase. Esiste ormai un vuoto tra la generazione dei lavoratori in servizio da anni e le ultime leve di neo assunti. Il vuoto che si creato, in cui le aziende si sono prontamente inserite veicolando i loro messaggi, nasce da una cultura profondamente individualista, ormai radicata in larga parte del lavoro giovanile e nella pressoché totale indifferenza ai valori collettivi della solidarietà che attraversa le diverse generazioni. Figli di una cultura in cui il precariato diventa la regola, i nostri giovani colleghi difendono con ostinazione la loro condizione singola di precarietà, convinti che la loro generazione possa non pagare il prezzo del cambiamento del settore e soprattutto convinti che solo da soli, senza inutili mediazioni sindacali, si possa uscirne e costruirsi il futuro. 
Lo sforzo maggiore del sindacato dovrà a nostro parere essere rivolto nel più immediato futuro proprio a questa fascia di lavoratori, i più penalizzati tra l’altro dalle ristrutturazioni in corso, ma purtroppo anche i più silenziosi e meno propensi alla contestazione. 
Solo restituendo a questi lavoratori la coscienza della necessità di ragionare in senso collettivo sui propri diritti potremo costruire un sistema di relazioni, umane e professionali, in grado di assicurare lo sviluppo e la crescita, individuale ed aziendale, senza squilibri e soprattutto senza «salti» generazionali.

Il mondo cambia: welfare e dintorni

Uno degli aspetti su cui i lavoratori tutti debbono iniziare a ragionare con lucidità è rappresentato dal cambio sostanziale di alcuni degli strumenti di incremento del proprio potere d’acquisto rappresentato dall’adozione su una scala sempre crescente d’importanza e peso, di strumenti alternativi all’incremento puramente economico della retribuzione. Ci riferiamo all’uso massiccio da parte aziendale della possibilità di effettuare a favore del dipendente una prestazione che soddisfi specifiche necessità rappresentate da una casistica ampia legata sia ad esigenze personali e familiari di tipo assistenziale ma anche di carattere ludico o sportivo, tutte comunque finalizzate all’aumento del benessere del dipendente.
Si tratta di possibilità che consentono di istituzionalizzare una serie di bisogni e di necessità individuali, sinora fruibili solo ad iniziativa diretta del dipendente, di cui non possiamo che sottolineare l’importanza perchè a nostro parere possono rappresentare, ovviamente non in forma puramente alternativa alla retribuzione, una delle chiavi su cui costruire un clima aziendale positivo, orientato all’ascolto ed alla condivisione delle necessità individuali fuori dal contesto strettamente lavorativo. Speriamo che le Banche proseguano su questa strada anche aldilà dei margini di convenienza, sotto il profilo fiscale, che l’utilizzo di tali strumenti attualmente consente.

Verso un nuovo modello di Banca?

Il modello di relazione tra Banche e dipendenti fondato sulla rigidità dei ruoli e sulla centralità dell’organizzazione gerarchica è una delle vittime illustri, a nostro parere, della crisi del sistema bancario tutto. Un modello concepito in termini di totale separazione, materiale ma soprattutto psicologica, tra chi ordina e sceglie e chi esegue, e senza alcun principio di responsabilità individuale, deve cedere il passo ad un sistema di relazioni in cui l’elemento della condivisione giochi un ruolo sempre più importante. Non ci riferiamo per quanto ovvio alla sfera delle decisioni sulle strategie o sulle politiche commerciali, di evidente pertinenza della sola azienda, quanto alla sfera della relazione che non può non essere fondata che sulla consapevolezza che i benefici ed i rischi dell’attività d’impresa coinvolgono tutti i lavoratori, indipendentemente dal grado e dalle mansioni esercite e che la condivisione di obiettivi di crescita, ma anche di tutela e di maggiore sicurezza del proprio posto di lavoro, rappresentano la chiave di volta per consentire a ciascuno di dare il proprio contributo. Noi continueremo a lavorare per tutelare questo valore.