Qualche anno fa lo scrittore ungherese George Jonas affermò che gli Stati Uniti dovevano decidersi, o abbattevano la statua della libertà o, sull’altra costa, costruivano la statua della responsabilità. Perché la libertà senza responsabilità poteva, e può incorrere, in derive molto pericolose.
Nel nostro piccolo del mondo bancario italiano questa affermazione è tutt’altro che priva di significato. Per un sindacato come la Ugl Credito, che fa della partecipazione e della cogestione il suo marchio distintivo, rifiutando quindi lo scontro sociale come matrice, le imprese bancarie hanno la libertà di organizzarsi come credono, ci mancherebbe, e di proporre il loro modello di business ed i loro prodotti, finanziari e non, anche se rabbrividiamo all’idea che qualche banca dichiari di avere come concorrente non un’altra banca, o le banche estere, ma Amazon, perché questo è successo.
Però accanto a questa libertà ci deve essere la responsabilità. Ovvero la capacità di tirare fuori prodotti che non siano vere e proprie truffe (vedi obbligazioni subordinate Banca Etruria) e, soprattutto, non costringere i lavoratori, attraverso pressioni commerciali sempre più spinte, a vendere qualsiasi cosa a chiunque, senza tenere in debita considerazione il profilo di rischio della clientela. Questo è successo in Banca Etruria, in Banca delle Marche, in Cassa di Risparmio di Ferrara, in Cassa di Risparmio di Chieti, dove i lavoratori in alcuni casi sono stati costretti a modificare la Mifid, ovvero l’intervista al cliente che stabilisce la conoscenza che quest’ultimo ha del mondo finanziario e la sua propensione al rischio, pur di vendere le obbligazioni subordinate. E’ il caso di un muratore con licenza elementare che si è visto attribuire da Banca Etruria una laurea in economia e commercio, forse honoris causa, ed è il caso più tragico del pensionato di Civitavecchia che si è tolto la vita dopo aver visto bruciare, per decreto, ben 130mila euro, ovvero i risparmi di tutta una vita.